Vulvodinia: comprendere, diagnosticare e trattare

A cura del Team R&D di TL Pharma

Sommario

Parole chiave
Abbreviazioni
Riassunto
Introduzione
Vulvodinia: diagnosi ed opzioni terapeutiche disponibili
La vulvodinia non è un disturbo psicogeno
Dolore nocicettivo o dolore neuropatico?
I limiti delle terapie disponibili e la soluzione di TL Pharma
Conclusioni
Bibliografia

Parole chiave: vulvodinia, ginecologia, dolore neuropatico, vestibulodinia, terapia integrata

Abbreviazioni: IFN, Interferoni – NK, Natural Killer – NGF, Fattore di Crescita dei Nervi

Riassunto

La vulvodinia è una patologia ginecologica cronica caratterizzata da dolore vulvare persistente o ricorrente, che può compromettere gravemente la qualità della vita della donna. Colpisce circa il 12-15% delle donne durante la loro vita, ma spesso rimane sottodiagnosticata per anni.

L’eziologia è multifattoriale e non completamente compresa. La diagnosi richiede un approccio globale e multidisciplinare, che includa anamnesi sessuale, ginecologica, ostetrica, valutazione dell’apparato urinario e gastrointestinale, esame clinico per escludere altre patologie. Molte donne consultano numerosi specialisti prima di ricevere una diagnosi corretta, con un ritardo medio di circa 4 anni. Spesso il dolore viene erroneamente classificato come psicogeno, sottovalutando il reale impatto fisico della malattia. Non esiste un trattamento univoco. La terapia deve essere personalizzata e multimodale, tuttavia le terapie disponibili presentano varie criticità.

TL Pharma ha sviluppato una linea di prodotti formulati per agire sinergicamente sui diversi meccanismi alla base della vulvodinia (infiammazione, dolore neuropatico, squilibrio ormonale e componenti psicosomatiche). L’obiettivo è colmare le lacune terapeutiche offrendo un approccio più efficace, completo e mirato.

Introduzione

La Vulvodinia è una malattia ginecologica che si manifesta come una condizione cronica di dolore vulvare, con conseguenze debilitanti per la salute e la qualità della vita della donna interessata [1]. Nonostante sia una patologia frequente (colpisce il 12-15% delle donne nel corso della loro vita), può rimanere non diagnosticata e non curata per anni.

L’eziologia della vulvodinia è incerta e multifattoriale, infatti colpisce ragazze e donne di qualunque periodo riproduttivo, di tutte le età ed etnie [2]. Le pazienti affette da Vulvodinia presentano comorbilità nell’area pelvica come endometriosi e sindrome dell’intestino irritabile, ma anche talvolta dolore oro-facciale o fibromialgia [3], [4], [5], [6], [7], [8].

Sebbene siano coinvolti fattori infiammatori, genetici, ormonali e muscolari nella genesi della vulvodinia, i meccanismi eziopatogenetici sembrano essere correlati ad una disregolazione dei meccanismi deputati alla percezione del dolore, oltre che ad un difetto di regolazione della risposta pro-infiammatoria con conseguente alterazione della produzione di IFN (interferoni) e cellule NK (Natural Killer).

Di fronte ad una donna con vulvodinia non ci si può limitare a un semplice esame anatomico: è essenziale infatti ricostruire un quadro clinico completo attraverso un’anamnesi approfondita. Questo percorso deve comprendere una valutazione dettagliata della storia sessuale, ginecologica e ostetrica della paziente, al fine di identificare eventuali fattori predisponenti o scatenanti.

Particolare attenzione va rivolta anche allo stato di salute dell’apparato urinario e di quello gastrointestinale, spesso coinvolti nei casi di dolore pelvico cronico. Disfunzioni in questi sistemi possono infatti contribuire, direttamente o indirettamente, all’insorgenza o al mantenimento del dolore vulvare.

Solo attraverso questa visione globale è possibile formulare una diagnosi accurata e pianificare un intervento terapeutico personalizzato, che tenga conto delle specificità cliniche, emotive e psicologiche della paziente.

Vulvodinia: diagnosi ed opzioni terapeutiche disponibili

Il ginecologo svolge un ruolo chiave nell’escludere altre cause di dolore vulvare e nel collaborare con altri operatori sanitari per gestire il dolore della paziente. Un possibile riscontro fisico all’esame obiettivo per la diagnosi di vulvodinia è l’eritema vestibolare, al netto dell’esclusione di un’infezione vulvovaginale.

Oltre all’eritema, possono essere presenti altri sintomi come dolore al contatto, bruciore, dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali), e sensazione di bruciore o di pungiglioni.

Per una corretta diagnosi è importante sottoporsi allo Swab Test noto anche come Test di Friedrich, che viene eseguito durante la visita ginecologica. Si tratta di un esame semplice e non invasivo, che prevede il contatto di specifiche aree della vulva con un cotton fioc asciutto o leggermente inumidito, allo scopo di individuare eventuali segni di allodinia (dolore provocato da stimoli normalmente non dolorosi).

Il 60% delle donne con dolore cronico consulta più di 3 specialisti prima di ricevere la diagnosi corretta. È necessaria una gestione personalizzata, o un approccio individualizzato e spesso multidisciplinare.

Affinché sia considerata vulvodinia, non deve essere nota la causa. Ad esempio, si potrebbe confondere con una condizione di Lichen Sclerosus, che è una patologia della cute probabilmente di natura autoimmune, che interessa l’area intorno all’ano ed ai genitali.

In alcune situazioni, il dolore associato alla patologia viene trascurato dal medico al quale la donna si rivolge, poiché viene percepito come difficile da affrontare oppure viene definito un dolore “psicogeno” e quindi di competenza dello psicologo.

Non esiste un trattamento standard per cui un singolo trattamento può agire in maniera non uniforme e dimostrarsi inefficace, infatti l’approccio corrente è piuttosto vario, può riguardare:

  • l’utilizzo di farmaci sistemici (antidepressivi, antiepilettici) o topici (gabapentin)
  • una terapia psicologica di tipo cognitivo-comportamentale
  • un percorso di fisioterapia del pavimento pelvico con valutazione dei muscoli pelvici, articolazioni, fasci e legamenti, valutazione degli organi pelvici adiacenti come vescica urinaria e intestino crasso
  • in alcuni casi interventi chirurgici, stimolazione elettrica dei nervi, terapia laser.

Terapie che agiscono con meccanismo sinergico sono state più efficaci nel ridurre o gestire il dolore cronico e sono attualmente la linea di trattamento raccomandata [9].

La vulvodinia non è un disturbo psicogeno

La vulvodinia è una patologia reale e complessa, con basi fisiopatologiche riconosciute, tra cui l’iperattivazione delle terminazioni nervose, processi infiammatori locali e alterazioni del microbiota vaginale. Considerarla un disturbo psicogeno, e quindi di sola origine mentale o emotiva, rappresenta un errore concettuale e clinico che ha ripercussioni dirette sul percorso terapeutico delle pazienti. Le conseguenze della vulvodinia nella vita di una donna possono essere significative: il dolore persistente limita lo svolgimento di attività quotidiane comuni, come camminare, stare sedute a lungo, indossare certi tipi di abbigliamento o avere rapporti sessuali [10],[11].

Trattare questa condizione come un disturbo psicologico implica frequentemente una sottovalutazione dei sintomi fisici riferiti e porta a un ritardo diagnostico stimato intorno ai 4 anni. Durante questo periodo, molte donne affrontano un peggioramento progressivo della qualità della vita, con un impatto devastante sulla sfera sociale, relazionale e sessuale.

È importante chiarire che, pur avendo inevitabili ricadute psicologiche e relazionali, come accade in molte condizioni croniche di dolore, la vulvodinia non ha una causa psicologica primaria. La sofferenza emotiva riportata dalle pazienti è spesso la conseguenza, non la causa, del dolore cronico e della frustrazione derivante dalla mancata comprensione e dal riconoscimento medico della propria condizione.

In questo contesto, il coinvolgimento di uno psicologo può certamente essere utile in un approccio multidisciplinare, ma non può e non deve sostituirsi alla necessaria diagnosi medica e al trattamento adeguato. Riconoscere la vulvodinia come una patologia organica, complessa e multifattoriale, è il primo passo per garantire cure tempestive e appropriate, migliorando così l’esito clinico e il benessere complessivo delle pazienti.

Dolore nocicettivo o dolore neuropatico?

La vulvodinia è caratterizzata da un dolore costante o intermittente, localizzato nell’area vulvare, di durata superiore ai 3-6 mesi. Un dato importante da non sottovalutare durante la diagnosi è che, le donne affette da vulvodinia hanno una probabilità significativamente maggiore di soffrire di patologie croniche come la sindrome della vescica dolorosa, cistite interstiziale, fibromialgia e sindrome del colon irritabile.

La natura del dolore nella vulvodinia sembra essere principalmente neuropatica, con elementi riferibili ad una sensibilizzazione del Sistema Nervoso Centrale, con una conseguente riduzione della soglia del dolore. La mucosa del vestibolo vaginale diventa sede di un’intensa risposta infiammatoria mediata dai mastociti.

Il mastocita produce il fattore di crescita dei nervi (NGF), che causa la proliferazione delle terminazioni nervose del dolore nel vestibolo vulvare, e la conseguente iperalgesia. Le fibre proliferano verso la superficie della mucosa con conseguente iperallodinia [12],[13].

Questo porta a un viraggio da una sensazione tattile ad una sensazione dolorosa, e da un dolore nocicettivo ad un dolore neuropatico.

I limiti delle terapie disponibili e la soluzione di TL Pharma

Il limite principale nel trattamento della vulvodinia è l’assenza di una terapia efficace che agisca con un meccanismo sinergico sui diversi fattori che scatenano la patologia; trattandosi di un’eziologia multifattoriale è necessario agire in simultanea su più fattori, individuando combinazioni di attivi che possano modulare l’aspetto infiammatorio, psicosomatico, ormonale e neuropatico.

Non esiste, inoltre, una linea interamente dedicata alle pazienti affette da vulvodinia, che sia pensata per agire in modo sinergico. I farmaci e gli integratori disponibili per il trattamento presentano infatti diversi limiti. Per fare alcuni esempi, il gabapentin topico è un preparato galenico, quindi non di facile reperibilità, agisce inoltre sulla sintomatologia a livello cutaneo e non a livello sistemico. La gestione del dolore con antidepressivi e antiepilettici può indurre effetti collaterali indesiderati.

Gli integratori utilizzati dalle pazienti per il trattamento non sono specificamente formulati per la patologia in questione, in taluni casi la compliance non è favorita poiché è prevista una somministrazione ripetuta nella giornata e, infine, non sono associati con una crema lenitiva ad uso topico che presenti un meccanismo d’azione comparabile e possa potenziarne l’effetto terapeutico.

Il mercato è, inoltre, carente di detergenti adeguati che siano funzionali, oltre che alla detersione della zona, anche al trattamento della patologia.

Sulla base di tali osservazioni TL PHARMA ha formulato tre prodotti con attivi comuni, studiati per agire con un meccanismo sinergico sulla sintomatologia e sui meccanismi alla base della vulvodinia.

Conclusioni

La vulvodinia rappresenta una condizione complessa e spesso trascurata, che richiede un approccio diagnostico e terapeutico personalizzato, attento non solo agli aspetti fisici, ma anche a quelli emotivi e relazionali. L’elevato tasso di “sottodiagnosi”, unito alla difficoltà di trattamento, sottolinea l’urgenza di una maggiore consapevolezza tra i professionisti sanitari e di soluzioni terapeutiche mirate.

In questo contesto, l’impegno nello sviluppo di prodotti specifici, come quelli proposti da TL Pharma, costituisce un passo concreto verso una gestione più efficace e integrata della patologia, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle pazienti e restituire loro benessere, dignità e serenità.

 

Bibliografia

[1]      N. O. Rosen, S. J. Dawson, M. Brooks, and S. Kellogg-Spadt, “Treatment of Vulvodynia: Pharmacological and Non-Pharmacological Approaches,” Drugs, vol. 79, no. 5, pp. 483–493, Apr. 2019, doi: 10.1007/s40265-019-01085-1.

[2]      P. Vasileva, S. Strashilov, and A. Yordanov, “Aetiology, diagnosis, and clinical management of vulvodynia,” Menopausal Review, vol. 19, no. 1, pp. 44–48, 2020, doi: 10.5114/pm.2020.95337.

[3]      B. D. Reed, M. A. Plegue, D. A. Williams, and A. Sen, “Presence of Spontaneous Pain and Comorbid Pain Conditions Identifies Vulvodynia Subgroups,” J Low Genit Tract Dis, vol. 20, no. 1, pp. 57–63, Jan. 2016, doi: 10.1097/LGT.0000000000000166.

[4]      R. Nguyen, Veasley, and Smolenski, “Latent class analysis of comorbidity patterns among women with generalized and localized vulvodynia: preliminary findings,” J Pain Res, p. 303, Apr. 2013, doi: 10.2147/JPR.S42940.

[5]      M. B. Yunus, “The Prevalence of Fibromyalgia in Other Chronic Pain Conditions,” Pain Res Treat, vol. 2012, pp. 1–8, Nov. 2012, doi: 10.1155/2012/584573.

[6]      E. Bair, E. Simmons, J. Hartung, K. Desia, W. Maixner, and D. Zolnoun, “Natural History of Comorbid Orofacial Pain Among Women With Vestibulodynia,” Clin J Pain, vol. 31, no. 1, pp. 73–78, Jan. 2015, doi: 10.1097/AJP.0000000000000087.

[7]      D. A. Zolnoun, J. Rohl, C. G. Moore, C. Perinetti-Liebert, G. M. Lamvu, and W. Maixner, “Overlap Between Orofacial Pain and Vulvar Vestibulitis Syndrome,” Clin J Pain, vol. 24, no. 3, pp. 187–191, Mar. 2008, doi: 10.1097/AJP.0b013e318159f976.

[8]      B. D. Reed, S. D. Harlow, A. Sen, R. M. Edwards, D. Chen, and H. K. Haefner, “Relationship Between Vulvodynia and Chronic Comorbid Pain Conditions,” Obstetrics & Gynecology, vol. 120, no. 1, pp. 145–151, Jul. 2012, doi: 10.1097/AOG.0b013e31825957cf.

[9]      M. Falsetta, D. Foster, A. Bonham, and R. Phipps, “A review of the available clinical therapies for vulvodynia management and new data implicating proinflammatory mediators in pain elicitation,” BJOG, vol. 124, no. 2, pp. 210–218, Jan. 2017, doi: 10.1111/1471-0528.14157.

[10]   P. Latthe, L. Mignini, R. Gray, R. Hills, and K. Khan, “Factors predisposing women to chronic pelvic pain: systematic review,” BMJ, vol. 332, no. 7544, pp. 749–755, Apr. 2006, doi: 10.1136/bmj.38748.697465.55.

[11]   L. D. Arnold, G. A. Bachmann, R. Rosen, S. Kelly, and G. G. Rhoads, “Vulvodynia,” Obstetrics & Gynecology, vol. 107, no. 3, pp. 617–624, Mar. 2006, doi: 10.1097/01.AOG.0000199951.26822.27.

[12]   L. V Weström and R. Willén, “Vestibular nerve fiber proliferation in vulvar vestibulitis syndrome.,” Obstetrics and gynecology, vol. 91, no. 4, pp. 572–6, Apr. 1998.

[13]   N. Bohm‐Starke, “Medical and physical predictors of localized provoked vulvodynia,” Acta Obstet Gynecol Scand, vol. 89, no. 12, pp. 1504–1510, Dec. 2010, doi: 10.3109/00016349.2010.528368.

 

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